Intervista ad Alessandra Zenarola
𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀
𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗮 𝗭𝗲𝗻𝗮𝗿𝗼𝗹𝗮
𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
𝐼𝑚𝑚𝑒𝑟𝑠𝑎 𝑖𝑛 𝑢𝑛 𝑓𝑙𝑢𝑖𝑑𝑜 𝑎𝑙𝑡𝑎𝑙𝑒𝑛𝑎𝑛𝑡𝑒
𝑡𝑜𝑟𝑝𝑜𝑟𝑒 𝑒 𝑏𝑟𝑢𝑠𝑐ℎ𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑣𝑒𝑔𝑙𝑖
𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑣𝑒𝑟𝑠𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑓𝑎𝑠𝑒 𝑎𝑢𝑡𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎
𝑁𝑒𝑙𝑙’𝑎𝑟𝑖𝑎 𝑟𝑖𝑠𝑡𝑎𝑔𝑛𝑎 𝑢𝑛 𝑜𝑑𝑜𝑟𝑒
𝑑𝑖 𝑎𝑠𝑓𝑎𝑙𝑡𝑜 𝑏𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜
𝑁𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑎𝑠𝑒 𝑙’𝑜𝑑𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑎𝑡𝑡𝑒 𝑎𝑝𝑝𝑒𝑛𝑎 𝑚𝑢𝑛𝑡𝑜, 𝑑𝑒𝑙 𝑓𝑖𝑒𝑛𝑜 𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑒𝑔𝑛𝑜 𝑠𝑡𝑎𝑔𝑖𝑜𝑛𝑎𝑡𝑜
𝐼 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑟𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑖𝑛𝑒, 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑢𝑟𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑝𝑎𝑐𝑐𝑎 𝑖 𝑣𝑒𝑡𝑟𝑖
𝐿’𝑒𝑠𝑡𝑎𝑡𝑒 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑎 𝑜𝑟𝑚𝑎𝑖
𝑢𝑛 𝑚𝑜𝑟𝑏𝑖𝑑𝑜 𝑎𝑢𝑡𝑢𝑛𝑛𝑜
𝐻𝑜 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑢𝑖𝑡𝑜 𝑐𝑎𝑠𝑡𝑒𝑙𝑙𝑖 𝑑𝑖 𝑠𝑎𝑏𝑏𝑖𝑎
𝐶𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖𝑐𝑖 𝑣𝑖𝑐𝑜𝑙𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑠𝑖 𝑟𝑎𝑑𝑢𝑛𝑎𝑛𝑜 𝑔𝑎𝑡𝑡𝑖
𝑟𝑎𝑛𝑑𝑎𝑔𝑖 𝑒 𝑢𝑏𝑟𝑖𝑎𝑐ℎ𝑖
𝐴 𝑜𝑡𝑡𝑎𝑛𝑡’𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑠𝑖 𝑒̀ 𝑎𝑚𝑖𝑐ℎ𝑒
𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑑𝑎 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑖𝑛𝑒 𝑒 𝑙𝑎 𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑔𝑛𝑎
𝑒̀ 𝑙𝑢𝑜𝑔𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖, 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑒𝑟 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑖
• 𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐟𝐫𝐚𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 “𝐋’𝐨𝐫𝐚 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐨𝐥𝐜𝐞”. 𝐐𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐝𝐚 𝐥𝐞𝐢. 𝐄̀ 𝐬𝐨𝐫𝐩𝐫𝐞𝐬𝐚?
– Molto sorpresa, ma soprattutto sono lusingata e la ringrazio per questo prezioso omaggio. Così, decontestualizzate, avrei faticato a riconoscerle. Mi fa sorridere, a posteriori, la frase “sto attraversando una fase autistica”. Mi ci ritrovo.
Direi che è una poesia malinconica, e che lei ha colto in pieno lo spirito del libro.
• 𝐋𝐞 𝐡𝐨 𝐝𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 “𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜” 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐢𝐧𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐧𝐠𝐚 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐟𝐟𝐚𝐬𝐜𝐢𝐧𝐚𝐧𝐨 𝐢𝐥 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞. 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐢𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞𝐫𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚?
– Poesia e narrativa seguono scie diverse, che a volte si incrociano. Non è il primo a trovare aspetti poetici nella mia scrittura, ma più spesso mi sento dire che il mio è uno stile pittorico. Fatto cioè di pennellate e di immagini, oltre che di un certo realismo.
Le rare volte in cui mi sono cimentata, sul serio, a comporre una poesia, ne sono usciti versi surreali.
Preferisco dedicarmi alla narrativa. Se poi sconfino in qualche deriva poetica, ne sono lieta.
• 𝐇𝐚 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐢 𝐝𝐢 𝐭𝐞𝐜𝐧𝐢𝐜𝐚 𝐧𝐚𝐫𝐫𝐚𝐭𝐢𝐯𝐚 𝐨 𝐞̀ 𝐟𝐫𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐭𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐨?
– Non ho mai studiato tecnica narrativa. Dopo nove libri all’attivo e decine di racconti sparsi in antologie varie, un po’ paradossalmente, visto inoltre che il mio tempo libero si è dilatato, sto frequentando adesso alcuni corsi di scrittura presso la libreria Friuli di Udine. Ho scelto corsi con un taglio più filosofico che tecnico, dai titoli suggestivi come “Scrittura dell’anima” o “Una stanza tutta per me”.
Sono poco attratta e poco ligia alle tecniche, alle regole in generale. Cerco di coltivare quello che lei chiama talento con la lettura – di media leggo sei-otto libri al mese e sono infelice per tutti quelli che non riesco a leggere – e scrivendo (quasi) tutti i giorni.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐮𝐢 𝐡𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐬𝐚𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐦𝐦𝐚 𝐫𝐢𝐩𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐚 𝐫𝐢𝐭𝐫𝐨𝐬𝐨 𝐦𝐨𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐭𝐨𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐞𝐢?
– Mia madre è stata una donna originale, colta. Ironica. Ha studiato giurisprudenza, negli anni ‘50, ed è stata per oltre quarant’anni Direttrice dell’Archivio di Stato di Udine. Raccontarla in 𝐿’𝑜𝑟𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑑𝑜𝑙𝑐𝑒 mi è sembrato un omaggio alla sua figura, che in tanti in Friuli hanno conosciuto e apprezzato. Nel libro non ci sono solo momenti toccanti, ma anche episodi e ricordi più leggeri. I tetti del palazzo di Genova dove abitava da bambina e da cui si scorgeva uno spicchio di mare, i viaggi rocamboleschi negli anni ‘80 con l’amica Adalgisa fino in Sicilia e in Calabria sulla 126 celestina, il suo primo libro, il Catapan, un tomo che pesava oltre due chili, presentato al Comune di Fagagna. I sandali bianchi, il suo rossetto rosso geranio.
Narrare la sua vita è mantenerla viva. Anche per me.
• 𝐇𝐨 𝐧𝐨𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐨𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐞.𝐂𝐞 𝐧𝐞 𝐩𝐮ò 𝐝𝐢𝐫𝐞 𝐢 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐢?
– Non mi pare che mio padre sia poco presente. Anzi, veleggia qua e là in tanti episodi.
Ci ha lasciati troppo presto. In un altro libro che ormai ha vent’anni avevo scritto questa frase: “ Mio padre è morto da tantissimi anni. Sono più gli anni che ho vissuto senza di lui che con lui, e questa cosa mi fa impressione”.
𝐿’𝑜𝑟𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑑𝑜𝑙𝑐𝑒 racconta la storia di una donna in tutte le sue sfumature, quindi non solo nelle vesti di moglie e madre. Durante la sua intensa vita ci sono stati altri amori, il suo lavoro, gli impegni sociali, culturali.
Del resto ho letto decine di libri dedicati a uomini più o meno famosi, dove le figure femminili – mogli, compagne, madri – sono del tutto ininfluenti o appena abbozzate.
Un giorno forse racconterò anche la storia di mio padre, che tuttavia è una storia difficile.
Forse preferisco che le persone, leggendo il libro, la intuiscano da sole.
• 𝐋𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐚𝐭𝐭𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐚 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐥’𝐡𝐚 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐚 𝐫𝐢𝐟𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐮𝐥 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚?
– Credo accada sempre di avvertire un vuoto vitale, quando si perdono i genitori. All’improvviso sei orfana. Ti mancano le radici. Non puoi più telefonare alla mamma, anche se hai cinquant’anni suonati, per chiederle se ti cucina la cotoletta o le polpette al tonno.
Né condividere una lettura o l’innamoramento di entrambe per il commissario Montalbano.
Per me non è stata la prima perdita, ed è stata una perdita dolce, non tragica. Anche se dolorosa.
Se dovessi rispondere a una domanda su qual è il senso della vita, d’istinto e da agnostica dubbiosa, le direi : ‘Nessuno’.
La scomparsa di qualcuno che amiamo porta a una maggiore solitudine, ma non credo apra la mente a profonde riflessioni. Se non a quella che non siamo immortali.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐯𝐞𝐫𝐭𝐚̀?
– La conosco di riflesso. Sia per il mio lavoro – assistente sociale – che mi ha portata a contatto con il disagio in diverse realtà, sia per i viaggi in paesi dove il divario sociale ed economico tra i pochi ricchi e la massa della popolazione è elevatissimo.
In India, tanto per citare un paese, la povertà coincide con la mortalità infantile e con malattie devastanti che noi abbiamo sconfitto da decenni.
A livello individuale si può fare poco, se non cercare di evitare gli sprechi – l’acqua, per esempio – e di partecipare, senza voler emulare San Francesco e senza enfatizzare autopubblicizzandosi, a qualche progetto di solidarietà. Gocce nel famoso oceano.
La miseria è questione mondiale, e temo non sarà mai risolvibile.
• 𝐃𝐚 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐧𝐚𝐬𝐜𝐞 𝐥’𝐢𝐦𝐩𝐞𝐥𝐥𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢𝐚𝐫𝐞?
– Viaggio meno di quanto vorrei. Vado a periodi, a passioni altalenanti.
Per anni anelavo all’Oriente, che ho visitato fino a stancarmene.
Faticoso, umido. Bellissimo ma di una complessa immoralità.
Paesi dove esiste ancora l’impiccagione, dove le carceri sono un incubo, dove le donne non hanno alcuna visibilità e sono sottomesse al padre e al marito.
Ricordo i burka neri come la morte in Malesia, quarantacinque gradi all’ombra e donne coperte dalla testa ai piedi, con solo una griglia davanti agli occhi.
Prima e durante la pandemia ho girato molto in Italia, da sola, scoprendo, io che viaggio con i mezzi pubblici, paesini deliziosi, baretti minuscoli. Persone affettuose, disponibili.
Mi piace partire e mi piace altrettanto tornare a casa.
Gli unici giorni in cui non scrivo sono proprio quelli dedicati ai viaggi, e dopo un po’ la scrittura mi manca.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚 𝐙𝐞𝐧𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚, 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐭𝐮𝐫𝐢𝐞𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐍𝐮𝐯𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐥 𝐌𝐞𝐤𝐨𝐧𝐠 𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐥𝐦𝐚, 𝐫𝐞𝐦𝐢𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚, 𝐝𝐨𝐜𝐢𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐋’𝐨𝐫𝐚 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐨𝐥𝐜𝐞?
– Tutte e due.
Con alcune contraddizioni.
In “Nuvole sul Mekong” l’avventura sta nel tema stesso del libro.
Ho rischiato di morire nel mare delle Andamane sopra una barchetta di carta, ho volato da sola a Bangkok (e magari qua ho paura a prendere l’auto e ad andare fino a Tavagnacco, a dieci chilometri da casa mai), mi sono abbuffata di cibi stravaganti e ho nuotato in mari di gelatina.
Tutto vero e tutto esaltante.
Un viaggio serve anche a confrontarsi con alcuni timori. E quando sei in ballo non hai molte alternative.
𝐿’𝑜𝑟𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑑𝑜𝑙𝑐𝑒 è invece un inno alla perdita, al rimpianto.
I sentimenti, le sensazioni, sono del tutto diversi, e dalle pagine traspare.
Accompagnavo mia madre verso la fine del suo percorso, non potevo fare altro che accettarlo.
In questo, forse, si percepisce la remissività.
• 𝐋’𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐂𝐚𝐦𝐢𝐥𝐥𝐚 𝐕𝐚𝐥𝐝𝐢𝐦𝐚𝐫𝐞𝐬 𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐚𝐠𝐨𝐧𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐮𝐞 𝐠𝐢𝐚𝐥𝐥𝐢: 𝐁𝐚𝐬𝐬𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐞𝐚 𝐞 𝐈𝐥 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞. 𝐂𝐨𝐦’𝐞̀ 𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨?
– All’inizio Camilla è stata la protagonista di un breve racconto, una poliziotta che arresta un trafficante di droga e che si innamora di un collega. Banalotta, come trama, ma mi sono divertita e ho deciso di proseguire con un giallo più lungo.
Camilla mi piace, è passionale, nemica delle ingiustizie. Sentimentalmente confusa. A volte scostante. Intrisa di femminilità e poco consapevole del suo fascino.
Anche piuttosto ostinata.
Bassa marea parte dal presunto suicidio di una donna colombiana, madre di una bambina con qualche tratto autistico. Una storia di gelosie, invidia e follia.
Il solito niente ha un substrato più “sociale”; scava infatti nel triste traffico delle badanti, e in un delitto di provincia dai contorni molto noir.
• 𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐢𝐥 𝐠𝐢𝐚𝐥𝐥𝐨, 𝐥’𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐭𝐮𝐫𝐚, 𝐢𝐥 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐦𝐚𝐭𝐞𝐫𝐧𝐨 𝐦𝐚𝐧𝐜𝐚 𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐧𝐭𝐚𝐬𝐜𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚. 𝐂𝐢 𝐡𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐨?
– Onestamente, no. Per scrivere di fantascienza bisogna avere competenze e conoscenze scientifiche, che non possiedo.
E una certa capacità di trasmigrare in mondi virtuali e visionari.
Prediligo le storie vere, di cui sono circondata da sempre e che sono alla base di tutti i miei racconti.
Però non si sa mai.
Anni fa non avrei mai pensato di pubblicare un giallo, e invece mi sono appassionata.
• 𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭’𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐡𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞𝐜𝐢𝐩𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥 𝐒𝐚𝐥𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐝𝐢 𝐓𝐨𝐫𝐢𝐧𝐨. 𝐀𝐥𝐜𝐮𝐧𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐥𝐥𝐞𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐢𝐧𝐮𝐭𝐢𝐥𝐞. 𝐐𝐮𝐚𝐥 è 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐢𝐧 𝐦𝐞𝐫𝐢𝐭𝐨?
– Mi chiedo chi siano, al giorno d’oggi, gli intellettuali.
Sulla parola “inutile” si potrebbe costruire un’enciclopedia.
In sintesi, se uno scrittore ha già fama e gloria, al Salone di Torino può andarci per accontentare i suoi fan e per sponsorizzare la propria casa editrice. Se non ce le ha, di certo non le trova lì, vista la moltitudine di autori e libri che vi convergono.
In una visione strumentale, quindi, partecipare al Salone del libro può essere utile quanto un ombrello bucato.
Io l’ho trovata una manifestazione molto pop, al contrario di altri festival letterari su cui aleggia una pomposità ridicola.
Si fanno incontri interessanti, si respira un’aria giovane e vitale. Per me, che sono feticista dei libri, esserne circondata è stata una vera gioia.
• 𝐋’𝐚𝐫𝐫𝐨𝐠𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐩𝐫𝐞𝐠𝐢𝐨?
– L’arroganza non è mai un pregio, di qualsiasi ambiente e mondo si parli.
Neppure il complesso di superiorità, a volte immotivato.
Devo dire che trovo che sia un connubio poco armonioso, quello tra cultura e arroganza.
Nella mia esperienza, le, poche, per fortuna, persone arroganti che ho incontrato, mi sono sempre sembrate poco intelligenti.
Che la cultura appartenga a tutti, però, è una menzogna, oltre che un concetto scivoloso.
C’è chi non se la può permettere, e chi ne fugge a priori.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐢?
– Ho appena consegnato all’editore Solfanelli il terzo “capitolo” dei gialli con protagonista Camilla Valdimares.
Una vicenda di infanticidio, piuttosto cruda.
Vediamo cosa succede.
E ho iniziato un nuovo romanzo, una storia di violenza, di emigrazione e di rinascita. In parte ambientata nella mia città, in parte in Grecia e in Albania.
Infatti mi sto documentando, consultando parecchi testi e intervistando persone, amici ma non solo, immigrati dall’Albania.
Nel frattempo scrivo racconti per qualche concorso, e, perché no, qualche post su Facebook.
• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
A chiunque avrà tempo e voglia di leggerla.
𝑓𝑜𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝐴𝑙𝑒𝑠𝑠𝑎𝑛𝑑𝑟𝑎 𝑍𝑒𝑛𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎